IKON

L’autore analizza i problemi della figura di Cristo sui monumenti paleocristiani di Dalmazia. Si effettua un’analisi dei pochi resti delle sculture colle scene cristologiche, cio’è le scene in cui appare la figura di Cristo nella forma realistica umana e le figure simboliche, alegoriche etc. che fanno allusione a Cristo che sono abbastanza frequenti. Dall’analisi si può concludere che i cristiani dalmati abbiano esibito una certa riserva alla figura di Cristo che potrebbe essere conessa con le vecchie proibizioni di fare le figure del Dio dalle mani umane. Invece si usano frequentemente motivi di pecore, agnelli, colombe e delfini accanto alla croce o monogramma di Cristo che offrono un linguaggio artistico e simbolico che corrispondeva alla situazione dopo la vittoria del cristianesimo. Le figure degli animali erano una sostituzione per le figure umane reali, particolarmente sui sarcofagi. Invece la croce o il monogramma di Cristo naturalmente potresse essere il simbolo di Cristo, ma nello stesso momento un segno della pertinenza alla cristianità.

Le ricerche sulla produzione figurativa dell’antichità cristiana che si svilupparono soprattutto in direzione dell’indagine iconografica, hanno contribuito alla definitiva identificazione dei temi figurativi in rapporto ai rispettivi referenti scritturistici. L’arte paleocristiana rappresenta una manifestazione organizzata in codici predisposti per la comunicazione rapida ed efficace di concetti, misteri e dogmi, tutti gravitanti attorno all’orbita della salvezza. In quest’ottica vengono trattati anche i temi neotestamentari che si muovono tutti attorno a un perno palesemente cristologico, presentando il Cristo come attore instancabile di forza salvifica e positiva.

Per la prima metà del sec. IV, ad Aquileia si attestano due indirizzi con maestranze di diversa cultura, da una parte continua la produzione dei grandi sarcofagi architettonici, indirettamente documentata dai ritratti acroteriali e forse anche da un frammento con Monogramma cristologico, dall’altra si importano opere dai centri della cultura ufficiale (Roma e Milano), a cui s’ispirano maestranze colte con la creazione di opere talora originali. Nella seconda metà del sec. IV, mentre la Chiesa di Aquileia viveva la sua più bella stagione, la rinascenza teodosiana si manifesta nel tipo di sarcofagi detto “ad alberi” e in quello “a porte di città”.

La maggioranza di tutte le icone che sono connesse con il evangelista Luca mostrano la stessa forma del viso e la stessa espressione un po’mesta. Tali osservazioni richiedono una spiegazione, richiedono l’esistenza di un primo modello originario, di un prototipo, che si può trovare nella Deomene, un’icona di Maria senza il bambino, che la mostra rivolta in semi-profilo con le mani alzate per la preghiera. Sarà da indagare quale ruolo spetti alle rappresentazioni della divinità egiziana Iside e anche come i diversi tipi delle icone hanno trovato un loro influsso nell’arte occidentale che varia e trasforma questi tipi secondo le nuove esigenze di una proiezione prospettica delle figure nello spazio tridimensionale. Si deve questionare l’influsso della profezia di Isaia e sarà da indagare sulla spiegazione patristica di questo luogo biblico in contesto con il noto affresco nella Catacomba di Priscilla a Roma.

La riflessione teologica riguardante le sante icone sviluppatasi nella Chiesa con l’apparizione dell’iconoclasmo nel VIII e IX secolo provocò una forte controversia cristologica e con ciò ebbe come conseguenza una riflessione fruttuosa per la fondazione teologica, cristologica e pneumatologica della venerazione delle sante icone nella Chiesa. I criteri principali della venerazione delle sante icone troviamo però nelle opere dei santi padri della Chiesa nei primi secoli. I grandi padri della Chiesa nel periodo dell’iconoclasmo mettono in rilievo l’icona di Cristo, vero Dio e vero uomo, come il punto focale dell’arte figurativa delle icone. Essi dessumono la teologia delle icone dalla creazione dell’uomo »all’immagine e somiglianza di Dio« (Gn 1, 26) e poi dalla teologia giovannea e paolina di Cristo, Dio e Uomo, la vera immagine di Dio. Solo nell’incarnazione di Cristo troviamo la possibilità e l’idoneità della presentazione figurativa di Dio. Lo scopo di questa presentazione è la via teologica e spirituale dell’immersione nella vita in e con Cristo e nella comunione di Dio.

L’icona nella sua apparenza, è un’opera complessa che può essere analizzata secondo diversi criteri: teologico, liturgico e cultuale, storico e documentario, figurativo ed artistico… fino all’aspetto pratico ed economico dell’opera. Diventa chiaro subito che a tutti questi aspetti non si può rispondere individualmente, ma si richiede un approccio interdisciplinare. Vi risulta che la descrizione dell’icona e del suo significato sia una cosa inesauribile.

L’approccio teologico e cultuale è primario, anche se tutti gli altri orientamenti sono legittimi e auspicabili. La dimensione teologica e cultuale è sempre presente: nella motivazione della creazione di un’icona, nell’autore dell’icona e nell’eventuale veneratore (contemplatore), nella decisione sulle dimensioni e la forma, nel contenuto, insegnamento e messaggio, e finalmente nella sua benedizione rituale. In questo contesto l’icona si scruta e valorizza soprattutto come un (più o meno riuscito) medium o instrumentum nel rapporto tra il creato ed il Creatore, di quel che è transitorio ed eterno, tra il materiale ed lo spirituale, tra l’umano e Divino.

Nella bimillenaria storia della cristologia possiamo distinguere alcune tappe indicative di questo sviluppo: quella patristica (II-VIII secolo), quella medievale (secolo IX-X), quella moderna (secolo XVI-XIX) e contemporanea (secolo XX). La tappa patristica cristologicamente è stata la più determinante sia per lo sviluppo del dogma cristologico sia per la difesa delle immagini come affermazione del realismo dell’incarnazione di Gesù Cristo. Perciò, nella prima parte presenteremmo lo sviluppo storico del dogma cristologico. Sull’argomentazione cristologica della teologia dell’icona parleremo nella seconde parte dell’articolo e nella terza parte, facendo la lettura teologica di due icone cristologiche (Pantocratore e Maiestas Domini), confrontiamo l’arte visuale con il testo base e cercheremo di accertare in quale misura la parola illustrata rende il messaggio della verità della fede, e in quale misura l’immagine serve al pensiero teologico, e se e in quale misura si conformava alle discussioni teologiche durante la storia del pensiero cristiano.

The layers of meaning behind the plan of the apse decoration in the apse of the Basilica Eufrasiana in Poreč now rest on safer ground. The paper aims to show that the most direct aspect of the decoration programme, the anticipated coming of Christ, also involves the synthronon with the bishop’s cathedra. Most of the synthronon is decorated with opus sectile work in geometrical patterns, except for the panels around the cathedra. Above the chair a gold cross stands on a hillock and to its sides are two monumental candlesticks with burning candles which can be the key to the eschatological layer of interpretation of the whole apse design. Furthermore, the location of the cathedra places the bishop on the Parousia axis and as close to the worshippers as possible, thus making him a living local patron saint.

The rich and ambiguous wall mosaic decoration of the cathedral in Poreč has been interpreted in various ways revealing its complex content of the imagery. Especially interesting are the images in the main apse which are the subject of this article. The earlier interpretations were focused on the imagery and meaning of Theotokos considering Poreč mosaic to be one of the earliest complete representation of Virgin’s role as the Mother of God connected with growing devotion towards the Virgin within the Byzantine empire and its capital. Recently, more accent is given to the different layers of messages – public and private – conveyed within images. But, despite the fact that the iconography of the mosaics is multivalent, as is the case with other decorations of the 6th century, the main feature of the program is the visualization of Christological themes in reference to the basic doctrines of the period. Also, this text examines the question in what extent did and could Christological disputes of the time influence visual programs of the church decoration in the 6th century with the specific issue on the possible and repeatedly mentioned role of the Three Chapters controversy in the framing of the Poreč’ mosaics.

This paper will consider two Christological cycles painted on leaves of vellum during the early fourteenth century. Both series of images are now in the British Library, one set (the Holkham Bible Picture Book) is well known and the other previously obscure; both have been thought to have been designed and painted by manuscript illuminators, because they occur in books. Yet the inclusion of illuminations within books does not necessarily mean that this is the context for which they were originally conceived. The core of the Hokham Bible may have started life as a series of designs for textiles which grew into a book. The second example consists of a series of 24 detached miniatures depicting the ministry and Passion of Christ which, although bound into a book in recent times, were in fact originally nailed to a wooden frame to form a vellum altarpiece – a rare phenomenon. The responses of both artists to the challenges of depicting the narrative of redemption for a wider audience will serve as portals into their age.

The famous Franciscan devotional text, the Meditationes Vitae Christi, has long been cited by art historians as a source for late medieval iconographic innovations. This paper explores the tensions between text and image in a manuscript that offers rare insight into the Meditationes’ visual exegesis: Paris Bibliothèque Nationale Ms. Ital. 115. The earliest known illustrated copy of the Meditationes, Ms. ital. 115 was likely made in or near Pisa circa 1350 for an unknown group of Poor Clare nuns. The manuscript contains evidence of textual interpretation in the form of instructions to the artists in its margins and captions or tituli within its illustrations. The instructions and captions were written by the same person, apparently an “advisor” who was responsible for planning the manuscript’s image program and later checking it. This person, probably a friar serving as a spiritual advisor to a Poor Clare convent, thereby acted as a translator of the Meditationes. The unknown artists of Ms. ital. 115 generally followed the advisor’s instructions, but at times they misunderstood or disregarded his wishes. My study of the interface of the text itself, the advisor’s instructions, his captions, and the artists’ renderings reveals that the text of the Meditationes was only one of many influences in this manuscript’s creation.

The influence of the great Cistercian theologian St. Bernard of Clairvaux on the development of Franciscan spirituality is well known, yet his stance against the use of images in devotion often seems at odds with the Franciscan dependence on the real or imagined image in the Order’s devotional practices. With this contradiction in mind, this paper takes as a point of departure a small detail in a fairly complicated illustrated copy of a diagram known as the Lignum vitae that directly addresses the role of Bernard’s spirituality in Franciscan devotional practices. The diagram is a structured serial meditation on the life of Christ based on a treatise of the same name by St. Bonaventure. The diagram, from a Franciscan manuscript produced ca. 1290 known as the Verger de soulas (Paris, BNF fr. 9220), includes a “portrait” of St. Bernard praying at the base of the tree to which the body of Christ is affixed. Bernard’s presence at the base of the Lignum vitae is unusual in the iconography of the diagram. Thus, his appearance raises two questions that will be examined here: why is this Cistercian saint featured in this Franciscan diagram, and what does it mean that the theologian who is famous for the rejection of images in devotion is shown worshipping an image of the Crucified Christ? It will be concluded here that Bernard’s place in this miniature draws attention to the fact that Bonaventure directly borrowed the theme of the devotion to Christ’s life from the Cistercian’s 43^rd Sermon on the Song of Songs and that this sermon helps to elucidate the role of the devotional image in Bernard’s theology and Franciscan devotional practice.

In the Diocesan museum situated in the Romanesque church of St Quirinus in the town of Krk a medieval crucifix is displayed to the public. It has been believed to be a work of an anonymous author from the second half of the 14^th century. In order to date the sculpture more precisely this paper aims to give a brief review of the development of the theme of crucifixion in art as well as the development of the crucifix during the Middle Ages. The emphasis will be placed on the royal crown on Christ’s head as an iconographic symbol.

Major changes in the Christian piety of High Middle Ages are not reflected only in the humanizing tendencies in the representation of the Saviour Jesus Christ, rendered as Man of Sorrows or Ecce Homo, but directly or indirectly influenced a wide range of new iconographic subjects. One of the specific issues within the context of great number of changes that actually shook the whole Europe certainly is the relation to the mother religion – Judaism and its living representatives – contemporary Jews. The article sets out the inversely proportioned relation between the two topics: with the humanization of Jesus Christ rises the estrangement from the Jews.

Avec l’insertion de l’image dans le texte le système d’illustration dans les manuscrits change considérablement. Par ce rapport de proximité l’image contribue à une meilleure compréhension du texte. L’usage de la miniature en pleine-page située au début du manuscrit éloigne l’image du texte et confère à celle-ci une valeur supérieure. Dans les tétraévangiles médio-byzantins les exemples ayant un tel type d’illustration sont peu nombreux mais présentent un grand intérêt sur la conception du message que le commanditaire choisit à transmettre à travers les scènes représentées.

The identification with Christ in self-portrayal of Albrecht Dürer is most often based on Dürer’s empathy with Christ’s passion although in some cases a more complex idea of christomimesis can not be excluded. This is most evident in his Self-Portrait in a Fur-Collared Robe (1500, Alte Pinakothek, Munich). The article concentrates on the possible influence of Nicholas of Cusa’s Christology on the iconography of Dürer’s Self-Portrait of 1500 – a theory much discussed in the last fifty years. The comparative analysis of philosophy of Nicholas of Cusa and Dürer’s artistic and written opus brings to light surprisingly close views on beauty, harmony, ideal proportions, and the importance of mathematics in visual arts. Even more important is the common notion of Man and the relationship between Man and God. Cusanus’s teachings on Christ mark a new stage in the history of Christian humanism: by describing Christ as “homo perfectus” and Man as “alter Deus” the Cusan emphasizes a close relationship between Christ and Man, thus paving the way for the revolutionary humanistic notion of Man as (almost) equal to God. The relationship is so intimate that according to the Cusan a man who tries to envisage His true image – vera icon Christi – will finally see it as a mirror-reflection of his own face. That is precisely the case in Dürer’s Self-Portrait in Munich: Dürer depicts himself as Christ because the real image of God is actually a mirror in which the spectator’s own features are reflected.

Nelle sue rappresentazioni di donne, Raffaello sembra aver colto per la prima volta nell’arte, la psiche femminile, non soltanto in tutta la sua ampiezza, ma anche come medium per riconoscere il Divino. Il fatto rivoluzionario non sta, dunque, soltanto nella nuova espressione naturale del corpo e nell’allargamento delle dimensioni psichiche della donna, ma nel suo ruolo come mediatrice del Trascendente. Nella Maddalena della Trasfigurazione si manifesta un tipo di conoscenza interna che non si esprime né nel suo sguardo verso Cristo né nella sua gestualità, i quali Raffaello, invece, usa come mezzi espressivi delle figure maschili. La donna riconosce Dio in un altro modo.

Si prende in esame l’iconografia dell’altare di Giovanni Vrana che si trova nella chiesa di San Giuseppe a Venezia per confrontarla con l’altra iconografia sviluppatasi nei paesi cristiani in seguito al trionfo di Lepanto. Il Dalmato Giovanni Vrana, abitante a Venezia, si distinse nella battaglia navale di Lepanto nel 1571, in qualità di ammiraglio sulla galea del comandante supremo della flotta veneziana, Sebastiano Veniero. Giovanni Vrana fece innalzare nella chiesa l’altare e la tomba per sé e per la sua famiglia, dopo il ritorno dalla trionfale battaglia di Lepanto e prima del 30 settembre 1575, quando l’ammiraglio dettò le sue ultime volontà.

Sarcophagus of the Holy Sepulchre of the Zagreb Cathedral was made in 1659 in the relief gold embroidery technique. His author was a German embroiderer from Ingolstadt, Wolfgang Jakob Stoll. This iconographical conception follows the medieval model that had been popularized, for example, by Biblia pauperum. This paper will analyze the specific quality of the Zagreb’s variant of this iconographical model and will point out the importance of the graphical models in the distribution of certain Testament scenes.

The British Pre-Raphaelite movement of the mid-nineteenth century produced a wide range of innovative art. Amongst these works were a number that were conspicuous for their use of religious imagery that the native Protestant majority regarded with suspicion as having been inspired by Catholic devotional imagery. Holman Hunt (1827-1910) was notable in his desire to employ paint in the service of Protestant faith. He attempted to find ways to paint images that made reference to the Crucifixion in ways which were educational and inspirational. Since the Crucifixion itself was widely understood to be not simply the subject of symbolic depiction in the Catholic Church but also of idolatrous devotion he disguised his imagery. This had the further advantage of avoiding controversy in the light of contemporary social attitudes which were sensitive to the depiction of male nakedness and suffering. This can be understood to derive from a fear that depictions of physical abuse were degrading rather than redemptive. This attitude is not confined to nineteenth-century Britain, but underlies, for instance, much of the recent controversy towards the director Mel Gibson’s film, The Passion of the Christ (2004). This case study highlights some of the problems in the depiction and reception of Christological iconography of self-sacrifice in countries in which Protestantism is culturally dominant.