Annali di Scienze Religiose

L’articolo ricostruisce la vicenda legata al piano segreto ideato dal diplomatico cattolico François Deloncle e dall’agente di cambio ebreo Lucien Perquel durante la prima guerra mondiale, affinché le comunità ebraiche europee influenzassero i rispettivi governi per fare in modo che un rappresentante della Santa Sede fosse invitato a partecipare al futuro Congresso di pace, mentre il pontefice, in cambio, avrebbe emanato un’enciclica di condanna dell’antisemitismo. Dopo il diniego del Jewish Conjoint Committee inglese, l’American Jewish Committee inviò una petizione a Benedetto XV (30 dicembre 1915) per chiedergli di condannare le persecuzioni contro gli ebrei in atto nell’Europa orientale. La risposta pervenne sotto forma di lettera del segretario di Stato, Pietro Gasparri (9 febbraio 1916), il quale, in nome del pontefice, proclamò la fratellanza universale degli uomini senza distinzione su base religiosa, assicurò che il papa aveva dato ordine al clero di battersi contro la persecuzione degli ebrei e celebrò la concordia esistente negli Stati Uniti tra gli appartenenti alle diverse denominazioni religiose. Il saggio analizza i documenti, che vengono pubblicati in Appendice, e le fasi redazionali della lettera di Gasparri, mettendo in luce la scelta di utilizzare il « diritto naturale » al posto del « diritto comune » nel condannare l’antisemitismo, e la sua ricezione da parte della stampa ebraica e cattolica.

The article analyses the secret plan arranged during the First World War by the Catholic diplomat François Deloncle and the Jewish broker Lucien Perquel to encourage the collaboration between the Holy See and various European Jewish communities. Benedict XV would have issued an encyclical against Anti-semitism, tragically increased in the Russian territories, and the heads of Jews’ associations would have tried to influence their gouvernments to let the pope partecipate to the Conference of peace at the end of the War. After the denial of the English Jewish Conjoint Committee to take part in the project, the American Jewish Committee sent a plea to the pope (30th December 1915) to ask him to condemn the persecution of Jews in East Europe. The answer of the Holy See was a Letter of the Secretary of State, Pietro Gasparri (9th February 1916), in which, in pontiff’s name, he stated the universal brotherhood of men without distinctions based on religious reasons; he assured that the pope had given orders to the clergy to help to stop the persecutions of Jews; he celebrated the harmony among the different religious denominations in the United States. The essay retraces the drafts of the Letter, the choice to recall the « natural right » instead of the « civil right » in denouncing Anti-semitism, and the reaction of the Jewish and the Catholic press.

L’articolo si propone di chiarire la dialettica che si diede tra i cattolici italiani e la Santa Sede nel rapporto con la Grande guerra attraverso l’osservatorio del culto. A tal fine, esso incrocia gli interventi pubblici del pontefice con la corrispondenza tra quest’ultimo e i fedeli (chierici o laici, militari o civili) che gli chiedevano l’autorizzazione a far circolare i testi di alcune preghiere o a celebrare speciali funzioni riferite alla guerra. La ricostruzione operata evidenzia il tentativo del pontefice, sempre più sistematico e intenso, di ridimensionare le spontanee declinazioni nazionalistiche del culto (che si traducevano nell’invocazione della vittoria del proprio paese) e di promuovere, per contro, la preghiera per la pace universale. Questa linea fu perseguita da Benedetto XV con coerenza e determinazione, ma anche con modalità diverse in relazione a differenti momenti, ambienti e contesti.

The paper aims to clarify the dialectic between Italian Catholics and the Holy See in the relationship with the Great War through the observatory of worship. To this end, it crosses public interventions of the Pope with the correspondence between him and the believers (clergy or lay, military or civilian people), who asked him for permission to spread the texts of some prayers or to celebrate special functions related to war. Reconstruction will highlight the attempt of the Pope, more and more systematic and intense, to resize spontaneous nationalistic forms of worship (which meant the invocation of victory for their country) and to promote, on the other hand, the prayer for universal peace. This line was pursued by Benedict XV with consistency and determination, but also in different ways in relation to different moments, environments and contexts.

Il saggio ripercorre la complessa esperienza umana e religiosa del sacerdote bresciano che ha vissuto gli anni della grande guerra dalle trincee sull’Isonzo al lager della Germania. La sua vicenda può essere considerata esemplare e rappresentativa della vita al fronte e in prigionia di tanti cappellani dell’esercito italiano, grazie anche alle sue memorie raccolte in un libro e alla documentazione, per quanto non vastissima, di soldati e ufficiali che lo conobbero.

The essay describes the complexity of the experience, both human and religious, of the priest from Brescia, who lived the years of Wold War I, from the trenches on the Isonzo to the concentration camps in Germany. His story can be considered as an example and a representation of the life at the front and during imprisonment of many other chaplains of the Italian army, also thanks to his memories, collected in a book, and other documents, though not many, of privates and officers who knew him.

From the earliest days of the First World War, the Church of England and its clergy closely aligned themselves with the government interpretation of the conflict and actively supported the national war effort, notably playing a major role in the recruitment campaigns of 1914 and 1915. Despite their vocal support for the war, however, the leadership of the Church was adamant, until the final year of the conflict, that junior clergymen should not volunteer to serve as combatant officers. Clergymen, of all denominations, were also formally excluded from the terms of the Military Service Act of 1916 and enjoyed a somewhat sheltered status in wartime Britain. This apparently contradictory position attracted a steadily increasing degree of criticism throughout the war years, both from the Anglican laity and from traditionally anticlerical quarters. Drawing on a variety of contemporary sources, this article outlines and assesses the criticism directed at the Church on the issue of military service from 1914 to 1918 and closes with commentary on the longer-term impact of the clergy’s wartime rhetoric and activity for Anglicanism in Britain.

Dall’inizio della Prima Guerra Mondiale la Chiesa d’Inghilterra e il suo clero si mostrarono strettamente allineati alla posizione del governo relativa al conflitto e lo supportarono attivamente, soprattutto durante la campagna di reclutamento del 1914 e 1915. Nonostante il supporto corale alla guerra, tuttavia I capi della Chiesa rimasero irremovibili, fino al termine del conflitto, nella convinzione che i giovani preti non dovessero offrirsi volontari al fronte. I membri del clero – di tutti i livelli – erano anche formalmente esclusi dagli obblighi del servizio militare espressi nella legislazione del 1916 e godettero di una sorta di stato di protezione nell’Inghilterra della guerra. Questa posizione di apparente contradditorietà attirò critiche via via crescenti durante gli anni di guerra, tanto dal laicato anglicano quanto dai tradizionali ambienti anticlericali. Basandosi su diverse fonti contemporanee, questo articolo mette in luce e studia le critiche mosse alla Chiesa relative alla questione del servizio militare dal 1914 al 1918, e si conclude con una disamina dell’impatto di lungo termine – per quanto riguarda l’Anglicanesimo – esercitato dalla retorica del clero sulla guerra e dall’attività di quello.

Il rapporto tra Islam e mobilitazione nell’Impero ottomano durante la Prima Guerra Mondiale è un tema ancora poco esplorato dalla storiografia. Soprattutto in Turchia, lo scarso spazio assegnato alla religione dalla cultura kemalista è la causa dell’assenza di studi in questo campo, anche se la situazione sta cambiando in questi ultimi anni. Alla fine del XIX secolo vi fu nell’Impero ottomano un crescente processo di laicizzazione e di politicizzazione dell’Islam, utilizzato come fattore di unità tra le popolazioni musulmane ottomane. Nel 1914, l’Impero ottomano entrò in guerra per cercare di salvare l’Impero dalla dissoluzione. I Giovani Turchi speravano di difendere lo Stato e di recuperare i territori perduti negli ultimi decenni. Al centro della loro politica era lo Stato e non la religione. Tuttavia fu utilizzato il fattore religioso per mobilitare le masse musulmane. Più che di una « guerra santa » si trattò di un uso della religione per « sacralizzare » la guerra e giustificare lo sforzo militare richiesto da una « guerra totale ».

The relationship between Islam and mobilization in the Ottoman Empire during the First World War is a topic still little explored by scholars. Especially in Turkey, the limited space allotted to religion from kemalism is the cause of the lack of studies in this field, although the situation is changing in recent years. At the end of nineteenth century there was in the Ottoman Empire a growing process of secularization and politicization of Islam, used as factor of unity among ottoman Muslim populations. In the 1914, the Ottoman government went to war trying to save the Empire from dissolution. The Young Turks saught to defend the State and to recover the territories lost in recent decades. At the center of their policy was the State and not religion. However, the religious factor was used to mobilize the Muslim masses. Rather than a « holy war » was a use of religion to « sanctify » the war and justify the military effort required by a « total war ».

Il rapporto tra Gemelli e la prima guerra mondiale si è articolato a tre livelli: Gemelli « ideologo » che cerca di dare un fondamento all’amor di patria da un punto di vista cristiano; Gemelli studioso della fisiologia degli aviatori; Gemelli psicologo della guerra. Il terzo aspetto è quello su cui Gemelli ha lavorato maggiormente: la guerra rappresentava una grande laboratorio di psicologia, dove esistevano condizioni uniche, irripetibili per l’operato di uno psicologo. Suo obiettivo era la configurazione di un ritratto del nostro soldato, nella speranza di dare un contributo ai metodi della preparazione militare in uso nel nostro esercito.

The relation among Gemelli and World War I was structured on three levels: Gemelli the “ideologist”, who tries to give a rationale for the patriotism from the standpoint of a Christian; Gemelli the scholar of physiology of aviators; Gemelli the psychologist of war. The third aspect is the one on which Gemelli worked the most: for him, the war constituted a great psychology laboratory, where one could find unique conditions, impossible to reproduce, for a psychologist. His target was the characterization of a portrait of the Italian soldier, as he hoped to give a contribution to the methods of the military training in use in the Italian Army.

La parabole de Lazare et de l’homme riche, qui paraît dans l’Évangile de Luc, occupe une place assez particulière dans l’histoire de l’exégèse des premiers siècles du christianisme. À la différence des maintes autres paraboles du Nouveau Testament, elle a souvent été abordée par les Pères en tant qu’une histoire réelle, une histoire vraie, qui traite de la question de la nature de l’âme et de son destin après la mort. L’article présent analyse la compréhension des aspects anthropologiques et eschatologiques de ces versets par les Pères, compréhension qui dépend, en première instance, des diverses bases philosophiques propres aux théologiens des premiers siècles.

The parable of the rich man and Lazarus from Luke’s Gospel, occupies a particular place in the history of early Christian exegesis. Unlike many other New Testament parables, it was often considered by the Church Fathers as a real story, revealing the nature of the soul and its destiny after death. The present article examines patristic comprehension of anthropological and eschatological aspects of these verses, a comprehension that, during the first centuries of Christianity, was primarily determined by philosophical background peculiar to each theologian.

Riprendendo una ricerca pubblicata nel 1993, queste nuove linee puntano a verificare come la stampa, con le sue « leggi », abbia modificato la tipologia anche del libro religioso e poi quanto alcune opere abbiano cambiato, o potevano cambiare, la storia della Chiesa in Italia e non solo. Per questo si ribadisce la centralità di una realtà, prima sconosciuta, che fu la tiratura, cioè la rapida moltiplicazione dei testi, buoni o cattivi che fossero. Si indagano poi alcuni fenomeni editoriali abbastanza trascurati, come le « infiltrazioni » di opere protestanti stampate anche in Italia con false paternità, o le reali incidenze distruttive della censura e in particolare se la condanna di certe opere letterarie sia stata determinata dalla licenziosità o forse dai contenuti anticlericali.

Resuming a research published in 1993, these new lines aim at verifying how the “rules” of printing modified the typology of the religious book and some works changed, or could have changed, the history of the Church. In this framework, an operation unknown before, the pulling, i.e. the speady multiplication of either good or bad texts, gained new importance. Some neglected publishing phenomena are also investigated, such as the “infiltration” of Protestant works printed even in Italy with false paternities, or the actual destructive effects of censorship – whether some literary works were condemned for their licentiousness or rather their anticlerical contents.

Tout l’islam tient dans un livre, le Coran, dont le texte arabe, précisé en son écriture, demeure inchangé depuis près de treize siècles et dicte aux musulmans leur foi, leurs rites et leur vie sociale. Comment le chrétien pourrait-il y trouver une révélation de la volonté de Dieu et même de son mystère transcendant ? L’article interroge d’abord ce que les chrétiens en ont dit du VIIème au XVIème siècle, puis de celui-ci jusqu’aux temps modernes (avec Marracci et l’orientalisme). Mais aujourd’hui quels sont les « regards chrétiens sur le Coran », en tenant compte de ce que dit la méthode historico-critique de l’élaboration des textes sacrés ? Tenant compte des exigences du musulman Mohamed Talbi et des théologies renouvelées des écritures des religions non chrétiennes, Robert Caspar et Claude Geffré proposent ici, vis-à-vis du Coran, les regards chrétiens les plus « accueillants » qui soient en cohérence avec la foi chrétienne : approche existentielle, approche classique, élargissement de la révélation comme histoire et comme sens. Les croyants de tous bords n’en sont pas moins encore et toujours théologiquement « interpellés par leurs Ecritures ».

Islam stands entirely in a book, the Qur’ân : its Arabic text is so precise in its definitive written version from about thirteen centuries and gives to all muslims the content of their faith, the details of their rites and the norms of their social life. How could Christian people find in its text a revelation of God’s will and maybe of His transcendant mystery ? The paper explores firstly what was said about by Christians from the 7th century until the 16th, and secondly after the 16th century until modern times (with Marracci and orientalism). But what it is said today about the « christian appreciations of the Qur’ân » after having submitted the authenticity of its text to the requirements of historical critics ? Following the dialogical view point of Mohamed Talbi about a respectful Christian attitude towards it and the renewed theologies of the scriptures of non christian religions, Robert Caspar and Claude Geffré propose towards the Qur’ân the christian appreciations « the more understanding » of it and the more in coherence with the christian faith : existential approach, classical approach, broadness of revelation understood as history and significance. All believers of religious traditions are still and always theologically « challenged by their Scriptures ».

The problem of time represents a crucial topic in Heidegger’s philosophy, through which he rethinks the meaning of the Being of the whole metaphysical tradition. The article deals with the analysis of the category of temporality that Heidegger developed in his early Freiburg lectures on the phenomenology of religious life and focuses especially on the phenomenological interpretation of Paul’s epistles. The proclamation of the apostle introduces into the proto-Christian communities the experience of conversion and the expectation of the Parousia, within which the radically historical dimension of existence clearly emerges. This contribution aims at showing that such early Christian temporality cannot be examined on the basis of traditional historical-exegetical paradigms, but it requires a new phenomenological comprehension of factical life experience in the movement of its enactment.

La questione del tempo rappresenta un nodo cardine della filosofia di Martin Heidegger, attraverso cui ripensa il senso dell’essere dell’intera tradizione metafisica. L’articolo affronta l’analisi della categoria della temporalità elaborata dal filosofo nelle sue lezioni friburghesi sulla fenomenologia della vita religiosa, focalizzandosi in particolare sull’interpretazione fenomenologica delle Lettere di Paolo. L’annuncio dell’apostolo introduce infatti nelle prime comunità cristiane l’esperienza della conversione e dell’attesa della parusia, grazie a cui emerge in modo chiaro la dimensione radicalmente storica dell’esistenza. Il contributo intende mostrare come tale temporalità protocristiana non possa essere esaminata alla luce dei paradigmi storico-esegetici tradizionali, ma esiga una nuova comprensione fenomenologica della fatticità della vita nel movimento del suo attuarsi effettivo.