Full text loading...
L’antichità classica ha trasmesso due modelli esplicativi delle crisi ambientali: uno religioso, e uno razionale, spesso ispirato alle ricerche dei filosofi sull’ambiente naturale e quindi limitato all’élite colta. Nelle Verrine, com’è noto, Cicerone dipinge un quadro disastroso dell’agricoltura siciliana, in un paesaggio di campi deserti e terre improduttive. Per lungo tempo, i toni tragici di questa descrizione hanno contribuito a una visione della Sicilia repubblicana come un periodo di declino e ristagno: una ricostruzione certamente inaccurata ormai messa in dubbio dalla storiografia più recente. Si è allora sottolineato che l’immagine ciceroniana è sicuramente frutto di un’esagerazione retorica. Il modo in cui i discorsi interpretano effettivamente il disastro, tuttavia, non ha ricevuto che scarsa attenzione. Questo contributo mira a riaprire il dibattito in una prospettiva ecocritica, mostrando come Cicerone sfrutti entrambi i modelli interpretativi sopra descritti per attribuire la responsabilità della crisi al suo avversario, e quindi, in ultima analisi, a un’agentività umana. In modo ancora più interessante, inoltre, i due modelli si trovano opposti come rappresentativi di due gruppi culturali diversi: i Greci di Sicilia per la spiegazione religiosa e il pubblico romano colto per quella razionale. Così, la reazione a una crisi ambientale diventa ancora un altro mezzo per affermare la superiorità culturale di Roma.
AbstractClassical antiquity explained environmental crises according to one of two models: a religious interpretation, or a rational one, often inspired by natural philosophy and thus limited to a cultural elite. In his speeches against Verres, Cicero famously paints a catastrophic picture of contemporary Sicilian agriculture, describing a landscape of deserted fields and unproductive lands. For a long time, this dark sketch contributed to a vision of Sicily during the Roman Republic as a land of stagnation and decline: a widespread misconception only recently called into question by historians. The case has been made that Cicero’s description may just be an exaggeration brought by rhetorical invective. Very little attention, however, has been paid to the actual way in which the speeches account for the disaster. This paper aims to reopen the question from an ecocritical perspective, showing how, exploiting both models of interpretation, Cicero successfully traces back the responsibility to his opponent, presenting the crisis as the result of human agency. Even more interestingly, he opposes these two models as typical of different cultural groups: Sicilian Greeks for the religious explanation and his cultivated Roman public for the rational one. Thus, reaction to environmental crisis becomes yet another way to assert Roman cultural superiority.