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The scholarly debate of the past fifty years has largely overlooked Louis Massignon’s interpretation of the Qur’an. This oversight is paradoxical considering that he substantiated some of his most contentious theories about the compatibility of Islam and Christianity by specifically referencing the Qur’an. This essay explores the ideal implications and critical presuppositions underlying the hermeneutic approach Massignon employed to analyse the Qur’an by discussing his analysis of the term qalb (‘heart’) in connection to al-Ḥallāj’s mystical ascetic practices, as well as his long-lasting exploration of the narrative of the ‘Seven Sleepers’ according to sūra XVIII, al-Kahf. This essay aims to demonstrate that Massignon’s groundbreaking method – at the intersection of Islamology, Christian theology, and literary criticism – takes shape through his harsh polemic against source criticism, which he saw as ‘literalist myopia’. Rebuking ‘Orientalists’ and ‘European critics’ – he labeled them ‘nominalists’ and ‘ill-disposed’ – Massignon projected the philological concept of textus receptus onto the interpretation of the Qur’an understood as communal and liturgical rumination. He thought this was the only viewpoint that could produce ‘a breath of life in the desiccated corpses’ of Miguel Asin Palacios and other authoritative but frequently unnamed colleagues of his. Beyond the context of salvation history, retribution theology, and the political commitment that drove Massignon after his conversion to Catholicism (1908), this working method proves inexplicable. In his earlier and later works, which underwent multiple revisions and were published only after his death, he described the Qur’an by resorting to a hermeneutical scheme infused with an ‘Abrahamic’ lexicon and concepts that gained popularity in the West since the Second Vatican Council – between idealistic expectations, simplifications, and contradictions.
AbstractNell’ultimo mezzo secolo di studi su Louis Massignon, l’interpretazione del Corano che venne concependo è stata largamente trascurata. Si tratta di una disattenzione paradossale se si tiene conto del fatto che egli sostenne alcune delle sue più controverse tesi sul rapporto tra cristianesimo e islam facendo specifico riferimento al Corano. Il saggio esplora le implicazioni ideali e i presupposti critici dell’approccio ermeneutico adottato da Massignon per analizzare il Corano, discutendone in particolare l’analisi semantica del termine qalb (‘cuore’) in relazione con le pratiche d’ascesi mistica di al-Ḥallāj, così come l’insistita ricerca intorno alla narrazione dei ‘Sette Dormienti’ secondo la Sura XVIII, al-kahf. Il saggio intende mostrare come l’innovativo metodo di lavoro impiegato da Massignon – tra islamologia, teologia cristiana e critica letteraria – prenda le mosse da un’aspra polemica contro il metodo storico-critico, che egli considerava una ‘miopia letteralista’. Rimproverando ‘orientalisti’ e ‘critici europei’ – che squalificava come ‘nominalisti’ e ‘maldisposti’ – Massignon proiettava il concetto filologico di textus receptus sull’interpretazione del Corano intesa come ruminazione comunitaria e liturgica. Riteneva che questa fosse l’unica prospettiva in grado di generare ‘un soffio di vita nei cadaveri disseccati’ di Miguel Asín Palacios e di altri colleghi autorevoli e spesso innominati. Al di là dell’orizzonte di storia della salvezza, della teologia retributiva e dell’impegno politico che innervarono la vita e l’opera di Massignon dopo la conversione al cattolicesimo, siffatto metodo di lavoro resta incomprensibile. Nelle sue prime e ultime opere, oggetto di molteplici revisioni e pubblicate solo dopo la morte, egli descrisse il Corano a mezzo di uno schema ermeneutico imbevuto di un lessico e di concetti ‘abramitici’ che avrebbero trovato fortuna in Occidente a partire dalla fine del Concilio Vaticano II – tra attese ideali, semplificazioni e contraddizioni.